Leggi l’articolo dedicato alla partita iva per gli imprenditori agricoli. Buona lettura.
La partita IVA è un codice numerico di cui ogni lavoratore o imprenditore autonomo (cioè che non ha un rapporto di lavoro alle dipendenze di un’altra persona, ente pubblico, ecc.) si deve dotare al fine di poter svolgere la propria attività lavorativa.
In particolare, l’acronimo IVA sta a significare “Imposta sul Valore Aggiunto”, ossia quella tassa che i professionisti autonomi devono pagare per la vendita di beni e servizi, sulla base del principio secondo cui le materie prime o le idee, trasformati in prodotti e servizi appunto, aumentano di valore.
Il codice numerico (in tutto 11 cifre) che compone la partita IVA dunque, è necessario perché il fisco possa identificare il soggetto erogante la prestazione e/o verificare la sua regolarità contributiva; ma soprattutto è fondamentale per emettere le fatture (quei documenti il cui rilascio è obbligatorio e necessario a provare l’avvenuta cessione di beni o la prestazione di servizi, dietro il pagamento di un determinato prezzo), nonché per il pagamento dei contributi fiscali dovuti e di quelli previdenziali.
La partita IVA può essere richiesta dal soggetto interessato all’Agenzia delle Entrate, ma può anche richiederla il suo avvocato o commercialista, nonché una persona munita della necessaria delega da parte del titolare. I numeri assegnati in seguito all’apertura della partita IVA rimangono uguali per tutta la durata del tempo in cui si tiene aperta l’attività; mentre, se si chiude l’attività per aprirne poi un’altra, verrà assegnato un codice numerico diverso.
Differenze tra partite IVA
Sebbene in linea generale il concetto di partita IVA abbia lo stesso significato per ogni genere di professionista o imprenditore autonomo, in realtà alcuni fattori o scelte del soggetto possono determinare delle differenze tra i versamenti dovuti da un contribuente allo Stato, rispetto ad un altro.
In altre parole, esistono differenti generi di imposte sul valore aggiunto, e lo Stato prevede che i professionisti autonomi debbano pagare quantitativamente tasse diverse, a seconda dell’attività che svolgono. Tale differenza, in particolare, è determinata dall’aliquota, cioè dalla percentuale di imposta che il professionista deve pagare per la vendita del bene o del servizio.
Ma quella appena descritta non è l’unica differenza tra partite IVA. Infatti il professionista o imprenditore, al momento dell’apertura (o, in alcuni casi specifici, anche successivamente), possono scegliere a quale regime fiscale aderire. Il regime fiscale (o contabile) rappresenta in pratica “la regola” che disciplina la tenuta contabile di un professionista autonomo o di un’impresa.
I diversi regimi fiscali
Esistono in linea generale tre tipi di regimi fiscali: quello ordinario, quello semplificato e quello forfettario. Il professionista o imprenditore non ha l’obbligo di aderire all’uno o all’altro regime fiscale, ma può scegliere liberamente quello per sé più conveniente.
Per quanto riguarda i singoli regimi fiscali: il regime ordinario, è quello comunemente applicato a chi non può accedere al regime semplificato e forfettario (ad esempio società di capitali ed enti pubblici), ovvero a chi decide di aderirvi autonomamente. Questo regime prevede la tenuta di una contabilità complessa e articolata (tenuta scritture contabili, versamento dell’IVA), soggetta a controlli periodici da parte delle autorità competenti.
Il regime fiscale forfettario può essere richiesto da chi ha un reddito che non supera i 65.000,00 euro annui. Questo regime, salvo esclusioni dettate dalla legge, prevede che non si applichi l’IVA, ma che il professionista paghi un’unica imposta sul reddito pari al 5% nei primi 5 anni di attività, e che poi sale al 15% negli anni successivi, a patto che non si superi la soglia di reddito predeterminata ovviamente.
Per quanto riguarda il regime fiscale semplificato infine, prevede delle agevolazioni soprattutto in termini di tenuta della documentazione contabile, ed è dedicato alle imprese minori (ad esempio ditte individuali o società di persone) che abbiano ricavi inferiori a 400 mila euro se forniscono prestazioni di servizi; ovvero 700 mila euro se svolgono altre attività.
Che cos’è la partita IVA agricola
Una figura particolare di partita IVA è quella definita “agricola”, che indica quel regime fiscale agevolato a cui i professionisti che si dedicano ad attività agricole appunto (imprenditori e coltivatori diretti), possono aderire.
Ed infatti, chi vuole esercitare un’attività connessa all’agricoltura come l’allevamento o la coltivazione ha tra gli altri obblighi quello di aprire la partita IVA.
I regimi fiscali tra cui può scegliere il titolare di partita IVA agricola
Il soggetto titolare di partita IVA agricola può scegliere se optare per il regime fiscale ordinario (ossia quello pagato dagli altri imprenditori e professionisti che non aderiscono a regimi diversi), oppure per il regime di esonero o speciale.
Il regime di esonero può essere richiesto dai soggetti che nell’anno precedente non abbiano superato i 7.000,00 euro di compensi, o che prevedono di non superarli nell’anno successivo all’apertura della partita IVA.
L’unica condizione necessaria per poter usufruire di questo genere di regime fiscale, è che i 2/3 del reddito prodotto derivi da attività agricole.
Questo regime prevede delle importanti agevolazioni da un punto di vista organizzativo, non sussistendo l’obbligo per chi vi aderisce di tenere le scritture contabili; nonché fiscale, perché chi aderisce a questo regime è esente dal pagamento dell’IVA.
Gli unici obblighi per i soggetti che scelgono il regime di esonero è quello di conservare le fatture emesse, ma senza doverle registrare.
Per quanto riguarda il regime speciale invece, questo può essere concesso a chi svolge una determinata attività prevista dalla legge, e prevede la detrazione dell’IVA per l’imprenditore o coltivatore.
In particolare, con questo tipo di regime le aliquote dell’imposta sul valore aggiunto vengono calcolate in base al tipo di prodotto agricolo venduto; ed il reddito che si prende in considerazione è soltanto quello derivante dalla cessione di prodotti agricoli.
Come aprire la partita IVA agricola
L’imprenditore agricolo o il coltivatore diretto, per aprire la partita IVA agricola può seguire diverse strade.
In primo luogo, possono recarsi direttamente presso l’Agenzia delle entrate muniti dei documenti necessari (documento d’identità, codice fiscale, visura rilasciata dalla camera di commercio se si è imprenditori agricoli, nonché titolo di possesso se si svolge l’attività su un terreno di proprietà).
Ma è possibile anche aprire la partita IVA agricola online, tramite il sistema “Comunica” presente sul sito dell’Agenzia delle entrate; oppure tramite Coldiretti (ossia l’associazione italiana dedicata all’agricoltura).
Andando direttamente alla Coldiretti della provincia di residenza, si presentano i documenti di riconoscimento e moduli indicati dalla stessa Coldiretti in base al tipo di azienda che si intende avviare.
Requisito fondamentale è che nel nome societario venga indicata la dicitura “società agricola” e che almeno il 50% del reddito complessivo provenga dall’attività agricola.
Se l’aspirante imprenditore agricolo che desidera aprire la partita iva è in possesso di un terreno agricolo, si dovrà inoltre presentare la visura catastale e il certificato di proprietà del terreno.
I costi per l’apertura e il mantenimento della partita IVA agricola sono limitati: all’atto dell’apertura della partita IVA l’imprenditore agricolo deve versare 100 euro per il “diritto camerale“, mentre ogni anno i coltivatori diretti, coloni, mezzadri e imprenditori agricoli professionali iscritti alla propria gestione sono obbligati a versare all’INPS i contributi IVS e di maternità.
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