La canapa è una risorsa preziosa, un genere di piante angiosperme della famiglia delle Cannabaceae, capace di migliorare la qualità della terra in cui viene piantata.
La coltivazione della Cannabis sativa risulta generalmente poco impegnativa, ma bisogna prestare la massima attenzione alle normative vigenti.
Cosa dice la nuova Legge 242 del dicembre 2016?
Come avviare una coltivazione di canapa legalmente? Scopriamolo in questa guida dedicata.
Storia della canapicoltura italiana
Originaria dell’Asia centrale, la canapa rappresenta l’unica pianta al mondo che può essere utilizzata al contempo come stupefacente e come fibra.
La cannabis è una coltivazione sacra per la popolazione hindu ed è conosciuta in sanscrito con i termini bhanga e ganjika.
Da fonti storiografiche attendibili, la canapa è giunta nelle Americhe dopo Colombo; ma alcuni scienziati hanno rinvenuto residui di cannabis in numerose mummie (1500 d.C.) scoperte in Perù.
Addirittura, sono stati rinvenuti alcuni semi fossilizzati in una grotta in Romania, risalenti ai tempi del Neolitico.
Ad oggi, dai reperti archeologici catalogati dagli studiosi, è emerso che il più antico manufatto umano rinvenuto è un pezzo di stoffa di canapa risalente all’8000 a.C.
La canapicoltura affonda le sue origini in epoche storiche antiche, in particolare in Asia e in Medio Oriente, ma solo nel XVI secolo si cominciò a coltivarla nell’Inghilterra orientale.
Fu nel XVIII secolo che iniziò la vera e propria produzione commerciale di tessuti e di carta, ma dalla metà del Novecento, con l’avvento del proibizionismo, l’uso delle fibre della canapa subì un calo.
L’Italia è stata una leader mondiale nella canapicoltura: questa antica vocazione produttiva e commerciale è legata all’espandersi delle Repubbliche marinare, che utilizzavano la canapa per il confezionamento di corde e di vele delle flotte.
Durante i secoli del trionfo e delle grandi conquiste marittime europee la domanda di tele e cordami assicurò il successo produttivo e commerciale della canapicoltura e, nel panorama domestico, eccelsero le zone di Ferrara e di Bologna.
Come documenta l’agronomo Pier de’ Crescenzi, nella canapicoltura le tecniche produttive si modificarono tra il XIV e il XVII secolo e precisi riferimenti sono contenuti nell’opera agronomica, Economia del Cittadino in villa del bolognese Vincenzo Tanara, il quale redige: “nella Canepa, conoscesi una sforzata industria de gli Agricoltori Bolognesi, per la quale saranno sempre d’eterna, e universal gloria, perché con immensa fatica, e spesa, si riduce questa pianta ad una esatta, e singolar perfettione […]”.
Nel 1874-79 la produzione di canapa nel Bolognese raggiungeva un fatturato da capogiro: ben 33 milioni di libbre (119.000 quintali) e, alla metà del XIX secolo più dei due terzi del prodotto veniva esportato in altre zone d’Italia oppure all’estero.
Il successo della canapicoltura in Italia fu in parte legato al clima favorevole alla coltivazione di questa pianta.
La produzione della canapa in Italia si mantenne alta per tutto l’Ottocento, ma cominciò a declinare nel corso del XX per effetto della diminuzione della richiesta di prodotto: con la diffusione delle navi a carbone cominciò il tramonto della canapicoltura.
Ciò decretò, nei distretti del bolognese e del ferrarese, una lenta ristrutturazione di tutte le rotazioni agrarie.
La crisi della canapicoltura italiana fu acuita dalla maggiore domanda di fibre naturali meno costose, come il cotone, la iuta, la canapa di Manila e, successivamente dall’affermazione delle fibre sintetiche (rayon, nylon, etc.).
Inoltre, la campagna internazionale contro gli stupefacenti contribuì a gettare in un baratro questa pianta: nel 1961 il Governo italiano ratificò la “Convenzione Unica sulle Sostanze Stupefacenti” in cui si sanciva definitivamente che gli ettari coltivati a canapa sarebbero dovuti scomparire.
Cosa dice la nuova legge 242 del dicembre 2016
L’introduzione della nuova Legge 242 del dicembre 2016 recante “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa” ha disciplinato la filiera della canapa. Si tratta di un vero e proprio cambiamento epocale.
Grazie a questo testo normativo si è iniziato a definire una regolamentazione ad hoc della canapicoltura italiana: si tratta di un vero e proprio punto di “rottura” con il passato dato che la Legge 242 del 2 dicembre 2016 rappresenta un passo di non poco conto per un paese come l’Italia, ex leader mondiale della canapicoltura.
Il proliferare di imprese e di negozi dedicati al mondo della canapa si deve proprio all’approvazione del testo normativo succitato che ha alzato la percentuale consentita di THC dallo 0,2% allo 0,6%.
La Legge 262 all’articolo 1 sancisce le finalità e recita: “La presente legge reca norme per il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera della canapa (Cannabis sativa L.), quale coltura in grado di contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli e della desertificazione e alla perdita di biodiversità, nonché come coltura da impiegare quale possibile sostituto di colture eccedentarie e come coltura da rotazione”.
Dal tenore normativo ben si comprende come il Legislatore voglia porre l’accento su un punto: la Sativa L. rientra nelle varietà di canapa a bassissimo contenuto di Thc (tetraidrocannabinolo), il principio psicotropo per eccellenza, uno dei principi attivi della marijuana.
In buona sostanza, il Legislatore stabilisce che, se all’esito del controllo il contenuto di Thc della coltivazione della canapa risulti superiore allo 0,2% ma non ecceda il limite dello 0,6%, “nessuna responsabilità viene posta a carico dell’agricoltore che ha rispettato le prescrizioni”.
Ciò costituisce una maggiore tutela per i produttori, in quanto la percentuale di Thc può variare in base alla maggiore o alla minore esposizione al sole.
Molti operatori e addetti operanti nella canapicoltura sperano in un ulteriore passo in avanti, a livello legislativo, che possa portare alla libera commercializzazione della marijuana in Italia.
I fautori di questi cambiamenti legislativi pongono l’accento sull’importanza degli aspetti terapeutici della cannabis.
Lo stesso portale scientifico della Fondazione Umberto Veronesi spiega come THC -delta-9-tetraidrocannabinolo- e CBD –il cannabidiolo- sono il complesso di molecole che agiscono principalmente a livello del sistema nervoso centrale e periferico. “THC è responsabile dell’effetto farmacologico, CBD tampona gli effetti della prima.
Ecco perché il dosaggio controllato è fondamentale per ottenere un effetto terapeutico.
La cannabis o canapa prodotta secondo gli standard appartiene alla categoria dei fitoterapici. […] all’interno delle infiorescenze sono presenti centinaia di molecole appartenenti alla famiglia dei terpeni e dei flavonoidi fondamentali per ottenere l’effetto farmacologico in quanto aiutano il legame di THC e CBD ai recettori”.
Il boom della cannabis light
Alla luce dei cambiamenti legislativi e della crescente domanda dei prodotti a base di cannabis light, si è assistito ad un vero e proprio boom della canapicoltura in Italia che, “nel giro di cinque anni, ha visto incrementare di dieci volte i terreni coltivati, dai 400 ettari del 2013 ai quasi 4000 stimati per il 2018 nelle campagne dove si moltiplicano le esperienze innovative, con produzioni che vanno dalla ricotta agli eco-mattoni isolanti, dall’olio antinfiammatorio alle bioplastiche, fino a semi, fiori per tisane, pasta, biscotti e cosmetici”.
E’ quanto emerge dallo studio pubblicato dalla Coldiretti “La new canapa economy” presentato a Milano in occasione della kermesse Seeds&chips 2018.
Durante il Salone numerosi giovani imprenditori della Coldiretti hanno messo in mostra le tante varianti alimentari: dai biscotti e dai taralli al pane di canapa, dalla farina di canapa all’olio, le cui proprietà benefiche sono state riconosciute dal Ministero della Salute, dall’Oms e da numerose ricerche.
Inoltre, la cannabis è utilizzata anche per la produzione di ricotta, tofu e birra; i suoi olii sono impiegati dalla cosmetica, le sue fibre dall’industria tessile, dall’arredamento e dalla bioedilizia. La nuova frontiera è la coltivazione e la commercializzazione della cannabis light che potrebbe sviluppare un giro d’affari potenziale stimato in oltre 40 milioni di euro.
Secondo le stime Coldiretti sono centinaia le nuove aziende agricole che hanno avviato nel 2018 la coltivazione di canapa: dal Veneto alla Basilicata, dalla Puglia al Piemonte, ma anche in Lombardia, Sicilia e Sardegna.
Lo stesso Presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo ha sottolineato che “Il boom della coltivazione della canapa è un’ottima dimostrazione della capacità delle imprese agricole di scoprire e sperimentare nuove frontiere e soddisfare i crescenti bisogni dei nuovi consumatori. […]
Proprio da queste esperienze di green economy si aprono opportunità di lavoro nelle campagne che possono contribuire alla crescita sostenibile e alla ripresa economica ed occupazionale del Paese”.
La stessa Coldiretti rileva che si tratta di un ritorno al passato: fino agli anni ‘40 del XX secolo la canapicoltura italiana è stata uno dei settori di “punta” per la nostra economia. Con quasi 100mila ettari, l’Italia era il secondo maggior produttore di cannabis al mondo (dietro all’Unione Sovietica).
Come avviare una coltivazione di canapa
Avviare una coltivazione di canapa oltre ad apportare benefici “green” all’ambiente circostante, racchiude un interessante potenziale di sviluppo per la nostra economia domestica.
Ogni aspirante imprenditore agricolo deve sapere che bisogna utilizzare sementi registrati nell’UE, che abbiano un contenuto massimo di THC dello 0,2%.
È assolutamente necessario utilizzare il seme certificato da ente autorizzato. Ogni coltivatore è tenuto a conservare i cartellini dei semi acquistati e le fatture di acquisto per un periodo non inferiore ad un anno.
Una volta acquistato il seme certificato, si deve procedere con la semina. Tra gli adempimenti amministrativi, l’imprenditore agricolo che decide di avviare una coltivazione di cannabis è tenuto a compilare un modulo ovvero una “dichiarazione di coltivazione” della canapa su cui devono essere indicate la varietà di pianta, le generalità del coltivatore, il luogo in cui viene piantata e gli ettari di terreno ove viene seminata.
La dichiarazione di coltivazione deve essere consegnata presso gli uffici dell’Ispettorato Agrario Provinciale, che segnalano alle Forze dell’Ordine il luogo dove verrà avviata la coltivazione della canapa.
Le Forze dell’Ordine, nel momento della raccolta, sono tenute a verificare la coltivazione e a prelevare campioni di piante per le analisi. Agli imprenditori viene rilasciata un’attestazione dell’avvenuto controllo.
Oltre a questi adempimenti amministrativi un imprenditore agricolo che voglia avviare un’azienda di coltivazione di canapa deve procedere con l’apertura della Partita IVA mediante compilazione del modello di inizio attività: le imprese individuali e i lavoratori autonomi devono utilizzare il modello AA9/12.
La Comunicazione Unica, permette di compilare il modello AA9/12 e di inviare il tutto in via telematica o su supporto informatico al Registro delle imprese – www.registroimprese.it.
Per quanto concerne il Codice ATECO da comunicare è il seguente: 01.16.00 “Coltivazione di piante per la preparazione di fibre tessili”. Inoltre, l’imprenditore deve scegliere il regime fiscale.
Si ricorda che possono accedere al Regime Forfettario con aliquota al 15% le attività che non superano la soglia di ricavi annuale pari a 30.000€.
Canapicoltura: conclusioni
L’espansione della canapicoltura italiana sarà favorita, in un prossimo recente futuro, se la normativa sarà ancillare nella creazione di strutture adeguatamente distribuite a livello territoriale.
La canapicoltura, come abbiamo visto, è candidata a giocare un ruolo molto importante per l’economia domestica e in ottica di sostenibilità a vantaggio sia dell’uomo sia dell’ambiente.
La difficoltà di fondo nel ricostruire la filiera della canapicoltura italiana, che nel passato riscontrava il suo successo nel mercato delle esportazioni, è attribuibile allo scenario macroeconomico, che pone il paese di fronte a continue sfide, competizione e adeguamenti normativi.
Per quanto concerne il sostegno e le aspettative per il futuro della canapicoltura italiana sono fondamentalmente 5 i punti focali su cui concentrarsi: coltivazione e trasformazione, incentivazione dell’impiego e del consumo finale di semilavorati di canapa provenienti da filiere autoctone, sviluppo di filiere territoriali integrate che perseguano l’integrazione locale e la reale sostenibilità economica e ambientale.
Dopo un lungo periodo di oblio, la Cannabis sativa sta sempre di più attraendo l’attenzione degli aspiranti imprenditori agricoli, delle imprese agricole già avviate, degli enti di ricerca e dei consumatori.
Gli utilizzi della cannabis sono molteplici e riguardano sia i comparti tradizionali (tessile cartario e alimentare) sia quelli più innovativi (biocarburanti, bioedilizia, bioplastiche, ma anche filiera della cosmetica).
Vantaggi della canapicoltura per i comparti rappresentativi del “Made in Italy”
Complimenti per gli articoli , scritti.. molto chiari … volevo chiederti considerazioni e consigli (mio figlio e altri soci a maggio stavano procedendo per la coltivazione indoor della canapa industriale.. ora sospeso tutto .. ) inerenti gli articoli sui giornali ( mese di giugno intorno al 21 ) letti sul ” parere del Consiglio Superiore della Sanita ” che considerava pericolosa la canapa light e sembrerebbe volesse vietare anche la vendita .
E’ una legge europea, non possono fermare un business legale nonostante l’ostracismo di mafie e lobby varie, l’utilità della cannabis è ormai palese, io lo sapevo da sempre, una pianta illegale perché pericolosa per petrolieri e case farmaceutiche
Ringrazio vivamente per gli articoli in quanto di notevole supporto. Vorrei sapere come può un’azienda agricola che coltiva canapa vendere al privato. In pratica cose necessita burocraticamente?